Oramai sono strafamosi. Conosciuti da tutti. I “tronisti” del mondo del lavoro. Sono i cosiddetti voucher (tradotti in italiano “buoni lavoro”), che rappresentano una forma di micro contratti di lavoro, in particolare per il cosiddetto “lavoro accessorio”.
Proprio nei giorni scorsi, la Corte Costituzionale ha reso noto che la proposta di referendum relativa alla richiesta di abolizione dei voucher è stata considerata ammissibile.
E’ quindi presumibile che tra qualche mese saremo chiamati ad esprimerci sulla questione “voucher si – voucher no”. Questione che anima i cuori di sindacalisti e politici, che si stanno fronteggiando con posizioni anche molto diverse. C’è chi li vorrebbe cancellare definitivamente, invocando quindi il principio del contratto a tempo indeterminato per tutti; c’è invece chi li vorrebbe mantenere, magari con qualche limitazione.
Ricordo che questo strumento non è di recente formazione. Infatti è stato introdotto nel nostro ordinamento nel oramai lontano 2003, quale strumento di regolamentazione del lavoro occasionale e quindi per ridurre il lavoro nero. Per molti anni non è stato molto gettonato. Ma dopo l’estensione del suo utilizzo un po’ a tutti i settori economici, lo stesso ha avuto un sempre più intenso impiego.
Certo, probabilmente oggi se ne sta un po’ abusando, nascondendo dietro al voucher reali contratti di lavoro dipendente non accessorio, al fine di risparmiare in contributi e ottenere una flessibilità in uscita estremamente alta.
Da misero commercialista di provincia, che tutti i giorni ha a che fare con le più differenti realtà economiche, dalla piccola azienda commerciale alla più grande impresa industriale, e che ascolta i pensieri di molti operatori economici, mi permetto di consigliare una importante rivisitazione delle norme che regolano l’impiego dei voucher, ma non certo la loro completa abolizione, che favorirebbe solamente il ritorno di importanti sacche di lavoro completamente sommerso.
Vi sono ambiti lavorativi che necessitano di forme contrattuali veloci, snelle e facilmente gestibili per fronteggiare esigenze temporanee e quindi limitate nel tempo e nello spazio. Basti pensare ai pubblici esercizi (bar, ristoranti, pizzerie etc.) che nelle giornate di più intenso lavoro necessitano di forza lavoro aggiuntiva rispetto a quella normalmente richiesta. Forza lavoro accessoria, straordinaria e sporadica, che spesso è rappresentata, ad esempio, da studenti che vedono così la possibilità di arrotondare la paghetta settimanale con una forma contrattuale comunque regolare (sia sotto il profilo contributivo che fiscale). Per non parlare dei lavori domestici e del “babisitteraggio”, ove spesso non è richiesta una presenza continua nel tempo ma interventi spot a seconda delle esigenze familiari.
Quindi ben vengano i “voucher” (o strumenti similari), ma con moderazione e con precise limitazioni.