Ho raccolto un po’ di dati relativi ai bilanci di alcune società sportive della Serie A di calcio. E i dati non sono molto confortanti.
Alcuni esempi.
Per il Napoli di Maurizio Sarri, gli ultimi due bilanci si sono chiusi in perdita. L’ultimo con una perdita di 3,2 milioni di euro e quello precedente con una perdita di 13 milioni di euro. Nell’esercizio chiuso al 30/06/2016 ha contabilizzato un costo del personale per Euro 85,2 milioni di euro e una liquidità finanziaria complessiva di circa 80 milioni di euro.
Per il Bologna, invece, il bilancio chiuso al 30/06/2016 riporta una perdita di circa 32 milioni di euro. Molto simile a quella riportata nel bilancio precedente, pari a circa 28 milioni di euro. Come pure l’anno ancora prima, chiuso con una perdita di circa 16 milioni di euro. Da rilevare che la perdita 2016 di 32 milioni è stata prodotta a fronte di ricavi complessivi per circa 54 milioni di euro. Quindi sicuramente una perdita rilevante.
Passiamo alla Roma. Anche per la società “americana” si rilevano perdite al 30/06/2016 per circa 14 milioni di euro. Perdite anche per l’anno precedente per circa 41 milioni di euro. Da rilevare, poi, la mole dei debiti finanziari netti, pari a 170 milioni di euro.
E dopo la Roma, la Lazio. Ricordate quella maxi transazione che la società fece con l’Agenzia delle Entrate per un debito fiscale di circa 143 milioni di euro? Ebbene, il debito residuo alla data odierna è di 68 milioni di euro, quasi la metà del totale dovuto. Si consideri che la transazione è datata “anno 2005” e che l’ultimo euro di questo debito verrà pagato nel 2028 … Trattamento non proprio identico a quello riservato al piccolo artigiano di provincia …
Anche per la Lazio l’esercizio al 30/06/2016 si è chiuso con una perdita consolidata di circa 12 milioni di euro.
E arriviamo alla Juventus. Tra quelle analizzate è l’unica ad avere chiuso gli ultimi due bilanci in utile, anche se al contempo aumentano i debiti. E’ anche vero però che la Juve è la società che vanta i più alti ricavi in Italia, anche grazie agli scudetti vinti e alla partecipazione alla Champions League con profitto.
Riassumendo, è facile intuire come il business del calcio non sia in realtà un vero e proprio business, proprio per il fatto che gran parte delle società operano in condizioni non economicamente sane. Bilanci in perdita, indebitamento alle stelle, bassa capitalizzazione. Condizioni che una azienda qualsiasi non potrebbe reggere se non per qualche anno.
Le società che operano nel mondo del calcio professionistico resistono alla pressione finanziaria solo perché c’è “babbo” che paga. I proprietari fanno periodicamente delle iniezioni di denaro fresco che rianimano aziende altrimenti destinate a perire. E fino a che c’è “babbo” che paga tutto va bene. Quando “babbo” finisce i soldi (come in molti casi è successo), allora è l’inizio della fine, perché il “ragazzo” non riesce a camminare con le proprie gambe.
Ma perché tutti questi “babbi” mettono soldi per i propri “ragazzi” sgangherati? Mah, non credo ci sia un unico motivo. Voglio essere buono e dico che in primo luogo ciò avvenga per passione. Per passione del calcio e della squadra sponsorizzata. Ma poi divento un po’ più cattivello e dico anche che è molto probabile che vi siano anche secondi fini (economici indiretti, politici etc.) che di fatto rappresentano la motivazione principale che spinge certi personaggi ad avventurarsi in questo mondo fatto di spogliatoi luccicanti, auto di lusso e tatuaggi al limite del ridicolo. Secondi fini dagli sviluppi tali da fare dimenticare le lacrime dei bilanci della tanto “amata” squadra.